Alla luce degli art. 15 e 16 del D.L. 17 marzo 2020 n° 18 e stante la situazione di “grave emergenza” che il nostro paese sta vivendo, numerose sono le richieste di chiarimenti e di supporto che stanno emergendo da parte di aziende che vogliono intraprendere la produzione di maschere protettive o di altri dispositivi di protezione, anche a fronte di una forte pressione dell’opinione pubblica. E’ per questo che ci sembra utile fornire alcune informazioni necessarie per districarsi in una normativa che, non dobbiamo dimenticare, parte dal 1989 per i dispositivi di protezione individuale e dal 1993 per quanto riguarda i dispositivi medici.
Tenuto conto degli art. 15 e 16 del D.L. 18 del 17 marzo 2020 (Decreto Cura Italia), la normativa vigente inquadra tutta la produzione di mascherine utilizzabili per la protezione da COVID-19 in tre diverse categorie:
A. Mascherine chirurgiche (anche dette maschere facciali ad uso medico) da inquadrarsi come dispositivi medici ai sensi della Direttiva 93/42/CEE (in vigore fino a maggio 2020 e poi sostituita dal Regolamento (UE) 2017/745;
B. dispositivi di protezione individuali a protezione delle vie respiratorie ai sensi del Regolamento (UE) 2016/425;
C. mascherine filtranti, ai sensi del comma 2 dell’art. 16 del D.L. 18 del 17 marzo 2020 (Decreto Cura Italia).
Per i dispositivi di cui ai punti A) e B), ad oggi, sono in essere, per ognuno dei due dispositivi, due procedure finalizzate all’immissione sul mercato: la standard prevista dalle norme europee e la “semplificata” prevista dagli art. 15 e 16 del D.L. 18 del 17 marzo 2020.
Di seguito si riporta lo stralcio degli art. 15 e 16 del D.L. 18 del 17 marzo 2020 (Decreto Cura Italia).
Un importante documento che chiarisce ulteriormente quando e come applicare tale normativa è la circolare del Ministero della Sanità del 18/03/2020 (disponibile sul internet al link https://www.iss.it/documents/20126/0/Circolare+MS+18.03.2020.pdf/377a2035-5782-f8f3-62b7-20abb69b8e20?t=1584716189847 ), a cui si rimanda per una lettura integrale.
Si analizzano ora le specifiche procedure di interesse:
1. Mascherine chirurgiche: dispositivi medici ai sensi della Direttiva 93/42/CEE
La normativa vigente prevede due procedure possibili di certificazione (la procedura standard descritta dalla Direttiva e quella del Decreto Cura Italia) ma ambedue queste procedure fanno riferimento alle stesse norme tecniche e presuppongono le stesse attività e valutazioni, pur se con tempistiche diverse.
La Direttiva 93/42/CEE (recepita in Italia con il D.Lgs. 46 del 1997 e valida fino al 26 maggio 2020, quando sarà sostituita dal Reg. UE 2017/745):
La Direttiva prevede che venga preparato un preciso dossier di natura tecnica, mentre le norme UNI EN 14683 e 10993-1 prevedono che il prodotto debba obbligatoriamente superare alcune prove per poter essere considerato conforme e, quindi, munito di marcatura CE. E’ prevista, inoltre, una comunicazione ufficiale al Ministero della Sanità e la redazione di una precisa dichiarazione di conformità da parte del fabbricante con un’ampia assunzione di responsabilità.
Il Decreto Cura Italia, al comma 2 dell’art. 15, si preoccupa di semplificare una procedura amministrativa ma solo nella forma e nella tempistica, non nella sostanza. Infatti:
Si chiarisce ulteriormente che, nel mentre che la procedura è in corso, il fabbricante non è formalmente autorizzato a mettere in commercio la mascherina come “dispositivo medico” ma può esclusivamente, e a suo rischio e pericolo, avviare la produzione, in attesa che la procedura di concluda con la sperata autorizzazione che, però, non manleva il produttore dalle sue responsabilità civili e penali in caso di prodotto non conforme.
Tutte le informazioni e la modulistica relativa a questa procedura sono riportate come allegati alla seguente pagina web: https://www.iss.it/procedure-per-richiesta-produzione-mascherine .
B. Dispositivi di Protezione Individuale definiti Semimaschere facciali ai sensi del Regolamento UE 2016/425
La normativa vigente classifica tutti i dispositivi di protezione individuale in tre diverse categoria sulla base del rischio da cui devono proteggere. L’allegato 1 del Regolamento UE 2016/425 chiarisce che sono da classificarsi come DPI di terza categoria tutti i dispositivi che sono destinati a proteggere da rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili. Anche il rischio biologico del Covid-19 rientra in questa tipologia di rischi. L’INAIL specifica, per ogni DPI, la categoria di appartenenza e la relativa norma UNI di riferimento (pagina web https://www.inail.it/cs/internet/attivita/ricerca-e-tecnologia/certificazione-verifica-e-innovazione/validazione-in-deroga-dpi-covid19.html ) secondo quanto di seguito riportato:
Alla luce di quanto su riportato e dalla lettura sia del Regolamento Comunitario che dei documenti elaborati dall’INAIL risulta chiaro che:
Nel caso della normale procedura, la messa in commercio del DPI è possibile solo dopo che il fabbricante:
Il Decreto Cura Italia, al comma 3 dell’art. 15, si preoccupa di semplificare una procedura amministrativa ma solo nella forma e nella tempistica, non nella sostanza. Infatti:
Si chiarisce ulteriormente che, nel mentre che la procedura è in corso, il fabbricante non è formalmente autorizzato a mettere in commercio il DPI ma può esclusivamente, e a suo rischio e pericolo, avviare la produzione, in attesa che la procedura di concluda con la sperata autorizzazione che, però, non manleva il produttore dalle sue responsabilità civili e penali in caso di prodotto non conforme.
Tutte le informazioni e la modulistica relativa a questa procedura INAIL sono riportate come allegati alla seguente pagina web: https://www.inail.it/cs/internet/attivita/ricerca-e-tecnologia/certificazione-verifica-e-innovazione/validazione-in-deroga-dpi-covid19.html ).
Da quanto su riportato si evince chiaramente che non è obiettivo del Decreto quello di ridurre i requisiti prestazionali dei dispositivi (siano essi medici o di protezione) nè è quello di ridurre gli obblighi documentali, altresì il Decreto consente, in ambito non professionale, l’utilizzo (e quindi la produzione e la commercializzazione) di mascherine per le quali non sono definite le caratteristiche prestazionali, ma esse devono essere rivolte agli individui e non a chi lo deve utilizzarle per motivi professionali (comma 2 art. 16 D.L.18 del 17/03/2020).
Per tale motivo, qualora di voglia avviare la produzione e mettere in commercio i dispositivi per far fronte nell’immediato all’emergenza, si consiglia di adottare la procedura libera prevista dall’art. 16 comma 2 non definendo le prestazioni del dispositivo ma:
A titolo di esempio si riporta di calce una delle diciture utilizzabili.
Esempio Dicitura ex art. 16 comma 2 DL 17 marzo 2020
Mascherina filtrante monouso
La mascherina filtrante monouso è prodotta ai sensi dell’art. 16 comma 2 del D.L. 17 marzo 2020, n° 18.
La mascherina filtrante monouso limita la diffusione del droplet.
L’utilizzo della mascherina filtrante monouso non ha effetto sulle buone prassi e sulle norme vigenti, riguardanti igiene e distanze di sicurezza.
Si precisa che la mascherina filtrante monouso:
Pertanto essa non riporta marcatura CE, pur essendo costruita secondo precisi standard normativi.
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